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Nomi scientifici e dialettali
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Da tempo immemorabile, l'uomo ha attribuito diversi nomi alle piante che lo
circondano. Ciò ha comportato che le diverse specie hanno nomi che
rientrano, fondamentalmente, in tre categorie diverse; precisamente la
denominazione dialettale, quella volgare e quella scientifica.
La denominazione dialettale è tipica delle specie conosciute dall'uomo e
usate per fini alimentari, merceologici (piante che forniscono fibre, legno,
ecc.), simbolici (piante di buon augurio, ecc.) o ornamentali (nelle case, nei
cortili, ecc.). Queste specie hanno la prerogativa di fare parte della cultura
popolare locale che ha loro attribuito un nome tramandato verbalmente. Tale
denominazione è legata, in genere, ad un'area linguistica ristretta,
all'interno della quale viene compresa ed ha una significativa rilevanza nella
comunicazione tra i diversi individui.
Come è stato evidenziato da diversi autori (PICCITTO e TROPEA,
1977-1990), il territorio etneo ricade almeno entro due aree dialettali: quella
dei dialetti etnei sud-orientali e quella dei dialetti etnei nord-occidentali.
Inoltre, durante le escursioni si è potuto constatare che all'interno di
ciascuna di queste aree esistono microdistretti linguistici i quali usano,
almeno per i nomi delle verdure, termini dialettali caratteristici, totalmente
dissimili da quelli usati in distretti vicini, a volte distanti tra loro anche
solo pochi chilometri.
Per portare un esempio la Lactuca viminea (L.) Presl (Lattuga alata) è
chiamata Scursunara a Ragalna, Erba-scursuni a Nicolosi, Pischiacunigghiu a
Zafferana, Peririnigghiu a Randazzo, Virinella a Maletto, Guttaru a Bronte,
Cardedda di petra a Castiglione. E ancora, nella stessa località, alcune
verdure vengono chiamate con più termini vernacolari. Ad esempio il
Foeniculum vulgare Miller. ssp. piperitum (Ucria) Coutinho (Finocchio
selvatico) è denominato sia Finucchieddu rizzu sia Finucchieddu di
timpa; per contro, in località differenti, lo stesso nome dialettale
può indicare verdure diverse, ad esempio il termine Sparacogna indica
l'Asparago pungente (Asparagus acutifolius L.) in alcune località del
territorio etneo, mentre designa il Pungitopo (Ruscus aculeatus L.) in altre ed
in altre ancora definisce il Tamaro (Tamus communis L.).
Alcune caratteristiche del nome dialettale riguardano l'affinità del
termine con il nome volgare italiano, la sua etimologia e il suo numero
grammaticale. Per quanto concerne la relazione tra nome vernacolo e nome
italiano, in alcuni casi esiste una affinità più o meno stretta
fra le due espressioni, ad esempio i termini dialettali Caccialebbra,
Pucciddana e Marba corrispondono ai nomi in italiani Caccialepre, Porcellana e
Malva; in altri casi non vi è alcuna relazione fra i due modi di dire,
ad esempio i nomi vernacoli delle verdure Raja, Catanziculi e Razza non hanno
alcuna somiglianza con i rispettivi nomi volgari italiani Salsapariglia,
Cascellore e Rapastrello. Sull'etimologia del nome dialettale a volte è
possibile rintracciare un collegamento fra il nome e qualche particolare
carattere della pianta, ad esempio Cardedda è diminutivo di cardo,
Cudidda è diminutivo di coda (con riferimento alla morfologia dello
scapo). In altri casi il nome dialettale non sembra avere riferimento ad alcuna
peculiarità morfologica; è questo il caso di Zubbi, Catanziculi e
Muni. Infine, riguardo al numero grammaticale, diverse piante hanno nomi sia
singolari che plurali, altri invece sono esclusivamente plurali, come
Cauliceddi, Coscivecchi, Razzi, Scoddi, Zubbi ecc.; probabilmente, ciò
sta a significare che questi erbaggi sono usati per l'alimentazione sempre in
numero molteplice di individui.
La denominazione volgare è il nome (o i nomi) attribuito ad una specie
nella lingua nazionale. L'aggettivo volgare (dal latino vulgaris = comune)
indica che il termine si riferisce al linguaggio comune, affiancandosi a quello
scientifico e a quello dialettale. L'appellativo volgare è usato in
tutto il territorio nazionale ed è rivolto ad un pubblico colto ma non
specializzato. Esempi di denominazione volgare sono Betulla, Cappero,
Crescione, Piantaggine, Pungitopo.
Come i nomi dialettali, anche il nome volgare spesso non si riferisce ad una
singola specie, ma ne compendia più di una. Ciò accade
soprattutto quando le specie sono poco distinguibili l'una dall'altra; ad
esempio il termine Margherita di campo è usato per una quindicina di
specie diverse; di contro, altre specie sono indicate con più di un
nome, ad esempio la verdura Lampascione è detta anche Lampuglione,
Muscaro, Cipollaccio, Cipollone, Giacinto del pennacchio, Cipolla canina,
Porrettaccio e Zazzeruto.
Infine, la denominazione scientifica, basata sulla nomenclatura binomia in
lingua latina introdotta da Linneo nel 1753, rappresenta l'unica terminologia
che designa in modo inequivocabile una specie. Né il nome volgare,
né quello dialettale offrono, infatti, alcuna garanzia sulla corretta
corrispondenza fra un nome e una determinata specie. In questo lavoro, per la
nomenclatura e la determinazione delle specie sono stati consultati diversi
autori, quali FIORI (1923-29), TUTIN et al. (1964-84) e PIGNATTI (1982).
Consulta le schede delle piante alimurgiche
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