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Le erbe spontanee come risorsa alimentare
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L'uso delle verdure spontanee quali fonte di sostentamento, soprattutto per le
popolazioni rurali, non è limitato solo al territorio etneo, ma è
diffuso anche nelle altre regioni del nostro Paese.
Sull'utilità delle erbe commestibili si hanno ampie tradizioni orali e
diverse testimonianze scritte; la prima pubblicazione che affronta l'argomento
sotto il profilo scientifico è quella del medico fiorentino Giovanni
Targioni-Tozzetti e risale al 1767. L'opera tratta i rimedi mediante i quali le
popolazioni, ricorrendo all'uso dei prodotti spontanei della terra e
principalmente delle verdure, riuscivano a sfamarsi durante le carestie (era
appena passata quella del 1764), le pestilenze, le guerre, le calamità
naturali, eventi, questi, che impedivano lo svolgimento delle normali pratiche
agricole. L'opera dal titolo De alimenti urgentia e sottotitolo Alimurgia,
ossia modo di rendere meno gravi le carestie, proposto per il sollievo dei
popoli, introduce la locuzione alimurgia dalla quale deriva il termine
fitoalimurgia che, ancora oggi, designa lo studio delle piante a scopo
gastronomico e che deriva da tre vocaboli greci, phytón = pianta, alimos
= che toglie la fame ed ergon = lavoro, attività.
Dopo TARGIONI-TOZZETTI (1767), diversi ricercatori si sono occupati di
fitoalimurgia; tralasciando quelli dell'Ottocento, nel nostro secolo e
particolarmente in coincidenza con le due guerre mondiali e l'autarchia
fascista, segnaliamo MATTIROLO (1918), RICCARDO (1921) e ARIETTI (1941).
Inoltre, in relazione alla crisi socioeconomica collegata alla seconda guerra
mondiale, il prof. A. Tukakov ha redatto una carta fitoalimurgica dell'Istria e
dell'Illiria per aiutare le popolazioni locali a superare, con le piante
spontanee, le notevoli difficoltà alimentari dovute principalmente alle
ristrettezze economiche (LANZANI ABBÀ, 1960). E' interessante
sottolineare che, durante l'ultimo conflitto, le truppe statunitensi sbarcate
in Italia disponevano di un manuale di fitoalimurgia, approntato da una
commissione di botanici americani, da utilizzare come prontuario di
sopravvivenza. Nello stesso periodo di stretta sussistenza, anche le nostre
popolazioni locali, a prescindere dall'apporto scientifico di questa
disciplina, della quale sconoscevano anche il nome, andavano per le campagne a
raccogliere le verdure più impensabili per rifornire la parca mensa.
Furono recuperate le più antiche tradizioni fitoalimurgiche locali, ad
esempio, l'uso alimentare del Mazzacani (Carlina hispanica Lam.) e della
Cicerchia (Lathyrus articulatus L.), e ne furono sperimentate altre, importate
dagli sfollati provenienti da altre regioni, come la commestibilità dei
Guddizzuni (Arctium lappa L.).
L'impiego alimentare delle verdure spontanee è una pratica diffusa in
tutta l'Italia (ALIOTTA, 1987), ma la scelta delle piante può variare
nei diversi distretti regionali; mentre alcune specie sono ritenute mangerecce
su tutto il territorio nazionale, ad esempio il Caccialepre (Reichardia
picroides (L.) Roth), altre, invece, vengono raccolte e consumate solo
all'interno di delimitate aree geografiche (GULINO, 1984).
Nel territorio etneo, se da un lato si consumano specie la cui valutazione di
commestibilità è esclusiva, dall'altro vi sono piante che nessuno
raccoglie, pur essendo ritenute eduli in altre regioni italiane (CORSI e PAGNI,
1979a; ALIOTTA, 1987; MANZI, 1987); fra le prime citiamo il Cavolicello
(Brassica fruticulosa Cyr.), la Bellavedova (Hermodactylus tuberosus (L.)
Salisb.), il Guado (Isatis tinctoria L.), la Bacchetta del re (Asphodeline
lutea (L.) Rchb.), la Salsapariglia (Smilax aspera L.), la Barbatella (Tolpis
quadriaristata Biv.) e la Carlina spagnola (Carlina hispanica Lam.). Fra le
seconde, invece, menzioniamo le piante qui appresso indicate con i loro nomi
dialettali etnei, volgari e scientifici:
Nome
dialettale
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Nome
volgare
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Nome
scientifico
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Ainisca
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Farinaccio
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Chenopodium
album L.
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Ardica
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Ortica
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Urtica
dioica L.
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Erba
di ventu
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Parietaria
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Parietaria
officinalis L.
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Ruvettu
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Rovo
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Rubus
ulmifolius Schott
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Paparina
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Papavero
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Papaver
rhoeas L.
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Ciuri
di majo
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Ingrassabuoi
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Chrysanthemum
coronarium L.
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Guddizzùni
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Bardana
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Arctium
lappa L.
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Nell'Italia centro-settentrionale, ad esempio, la Fedia cornucopiae (L.)
Gaertner, detta Piede di gallina, è considerata la "regina delle
insalate" (CORBETTA, 1991), mentre sull'Etna, dove pure forma copiose
popolazioni, nessuno la utilizza come alimento, tant'è che non possiede
alcun nome dialettale.
Nella società attuale, la fitoalimurgia riveste ruoli ben diversi
rispetto a quelli del passato: non più necessità alimentare, ma
puro interesse per i prodotti naturali. Durante gli ultimi anni, diversi
studiosi, quali FRANKE (1985), SOUCI (1986) e FRITZ (1989), hanno evidenziato
che le verdure spontanee contengono elevate concentrazioni di sali minerali,
proteine, un alto tasso di vitamine A e C e notevoli percentuali di fibre, in
quantità maggiori rispetto agli ortaggi coltivati. Per queste
proprietà esse risultano utili a integrare e migliorare l'alimentazione,
al giorno d'oggi particolarmente ricca di cibi a base di carne e di piatti
elaborati che favoriscono l'insorgenza delle cosiddette malattie del benessere
(arteriosclerosi, obesità, ecc.). L'introduzione nella dieta di prodotti
naturali, quali le verdure, così ricchi di fibre e di principi nutritivi
ridurrebbe la richiesta, nelle farmacie e nelle erboristerie, di correttivi
alimentari, più o meno artefatti, primi fra tutti i cosiddetti
ispessenti (prodotti a base di fibre vegetali come ad esempio la comune
crusca).
Le conoscenze fitoalimurgiche rendono, inoltre, possibile l'individuazione e la
conservazione dell'enorme potenziale genetico (germoplasma) delle specie
spontanee. In un'epoca nella quale i processi di selezione artificiale sono
orientati verso poche cultivar merceologicamente produttive ed imposte dalla
strategia di mercato, la salvaguardia di tale patrimonio assume un ruolo di
estrema importanza. A proposito dei rischi della monocoltura, diversi agronomi
del nostro Paese, fra cui BIANCO e PIMPINI (1990) e BRANCA (1991), stanno
svolgendo accurati studi fitoalimurgici al fine di individuare le verdure
spontanee che manifestino potenzialità alimentari, in modo da poter
trarre nuove forme orticole e produrre miglioramenti genetici (maggiore
rusticità, maggiore resistenza alle malattie) nelle attuali
varietà di ortaggi, mediante incroci con le specie spontanee
botanicamente affini; risultati soddisfacenti, ad esempio, sono già
stati ottenuti nel pomodoro (Lycopersicon esculentum Miller).
Consulta le schede delle piante alimurgiche
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