|
La raccolta
|
Erborinare (o erborare o erborizzare) è il termine comunemente utilizzato
per indicare la raccolta di piante erbacee spontanee commestibili.
Le verdure presenti nel territorio etneo sono una quarantina e sono
riconosciute dai raccoglitori più per tradizione orale che per il
tramite di manuali floristici o fitoalimurgici. Nel dialetto locale tali
verdure sono denominate vidduri boni per distinguerle da quelle non
commestibili dette vidduri sarbaggi e da quelle coltivate dette vidduri mansi.
Le parti commestibili di una pianta sono diverse in rapporto alla specie:
foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi e bulbi.
E' possibile utilizzare le parti aeree di piante giovani, appena germogliate
oppure di quelle adulte che hanno emesso i nuovi germogli laterali e comunque
prima della fioritura. Con l'avanzare della maturità, infatti, la
verdura diventa più fibrosa, perde l'originario sapore gustoso e diviene
poco gradevole; in altri termini, essa non è più buona da
mangiare e in dialetto, allora, si dice che è spicata.
La porzione da raccogliere può essere in certe specie il cespo (a troffa
o trofa), come nella Borragine, o la rosetta di foglie basali (a zotta), come
nel Cascellore. In altre specie si raccoglie, invece, l'asse fiorifero, quando
però è ancora tenero e con i fiori in boccio (spicuni, spicummi,
giummu, giumbu, curina), come nel Lattugaccio e nella Costolina.
In altre specie ancora le parti commestibili sono i nuovi getti laterali,
formati dall'intera fronda (foglie giovani e fusto tenero), i quali sono
chiamati, in varie località etnee, con l'appellativo di taddi. Questo
termine merita particolare attenzione poiché deriva dal greco tallos con
il significato di germoglio. I taddi, oltre che dalle piante erbacee, ad
esempio il Cavolicello e il Lattugaccio, si raccolgono anche da quelle lianose,
come nella Salsapariglia e nella Vitalba. Infine, un cenno particolare meritano
i turioni (sparaci) che si prelevano da talune specie, quali l'Asparago
pungente o il Tamaro; essi consistono in giovani germogli, perlopiù
allungati e subcilindrici, con l'apice a cono e gli abbozzi delle foglie
appressate all'asse.
Pochi sono, invece, gli erbaggi ricercati per le loro porzioni sotterranee,
citiamo la Bellavedova per i tuberi, il Lampascione e il Porraccio per i bulbi.
Dalle indagini condotte nel territorio etneo è, difatti, emerso che
nella cultura fitoalimurgica locale l'interesse per la parte edule delle
verdure è rivolto quasi esclusivamente alla porzione aerea delle
verdure, mentre l'uso delle parti sotterranee sta ormai scomparendo; solo pochi
degli interpellati ne erano a conoscenza e per di più solo in aree
ristrette del territorio in esame. Al contrario, nelle tradizioni
fitoalimurgiche di altre regioni le parti sotterranee (radici, tuberi e bulbi)
hanno la stessa popolarità di quelle aeree; ad esempio, le radici della
Barba di becco (Tragopogon porrifolius L.) sono note in tutto il territorio
nazionale, i tuberi dello Zigolo (Cyperus esculentus L.) sono utilizzati nel
trapanese e commerciati con il nome di cabbasisi, i bulbi del Lampascione sono
ritenuti una prelibatezza e venduti nei negozi di frutta e verdura nel
napoletano e in Puglia.
La raccolta delle verdure è sempre manuale, a volte con l'aiuto di un
coltello o di una zappetta.
Le verdure spontanee si rinvengono sull'Etna dal piano mediterraneo-basale fin
quasi al limite superiore del piano montano-mediterraneo; cioè dal
livello del mare fino a 1500 m s.l.m. Alcune, come il Cappero, si trovano quasi
esclusivamente in prossimità delle coste, mentre altre, come la
Bacchetta del re, attecchiscono soltanto al disopra dei 700 m. Esse, in genere,
crescono negli incolti, nei coltivi, ma anche presso i ruderi, le macerie e i
bordi di strada.
Per quanto concerne gli incolti, alcune specie prediligono i luoghi aperti
(pianori, sciare), come gli Strigoli e il Guado, altre, invece, sono piante di
sottobosco, come il Pungitopo e il Tamaro. Tra i coltivi, i luoghi
preferenziali sono i vigneti ed i pometi, come pure le colture irrigue (come
per la Porcellana). Qui, le verdure si sviluppano abbondantemente sulla terra
smossa dalle pratiche agricole; verdure tipiche dei coltivi dell'Etna sono, ad
esempio, il Cavolicello e il Cascellore. Infine, negli orti sono frequenti il
Crespigno e la Borrana, lungo i bordi dei sentieri e delle strade di campagna
il Finocchio selvatico e il Lattugaccio, sui muri in pietra il Caccialepre e la
Lattuga alata.
E' preferibile scartare le verdure che crescono lungo i bordi delle strade
trafficate e nelle monocolture, nel primo caso per gli scarichi inquinanti
degli autoveicoli e l'accumulo di polvere, nel secondo a causa del largo uso di
fitofarmaci, prodotti chimici spesso velenosi i cui residui permangono nelle
verdure. I fitofarmaci sono, per altro, responsabili della scomparsa dai
coltivi di diverse specie di verdure spontanee.
E' consigliabile anche evitare la raccolta delle verdure che crescono vicino ai
centri abitati, poiché potrebbero essere contaminate da patogeni fecali,
pericolosi qualora la verdura venisse consumata cruda. In realtà, tale
pericolo era più frequente in passato, quando le acque di scolo
defluivano in canali a cielo aperto e le epidemie di tifo e di colera erano
molto comuni; da ciò, forse, discende un antico proverbio, sentito nel
brontese, Viddura cruda e fìmmini a nuda pottunu l'ommu a sepottura,
ovvero l'uomo che abusa dell'eros o consuma verdura cruda va presto incontro
alla morte.
Infine, nel rispetto ambientale, non bisogna eccedere nella raccolta delle
piante e nel caso di piante perenni non estirpare le radici ma limitarsi a
prelevarne solo le parti eduli, poiché le stesse da lì a poco
oppure l'anno successivo, rigetteranno.
Consulta le schede delle piante alimurgiche
|